Vorrei continuare a parlarvi di quello che dicevo in questo post.

L’altra sera ho visto un documentario, THE TRUE COST

Girato da Andrew Morgan, un regista di LA senza nessun background nella moda, che è riuscito con una campagna Kickstarter a racimolare 76.000 dollari per girarlo.
E’ anche prodotto da Livia Firth, la moglie di Colin Firth, da tanti anni in prima linea su progetti per una moda migliore con il suo brand Eco-Age, che fa consulenza ai brand per una maggiore sostenibilità nella moda. Donna bellissima e impegnata nel sociale, se ci fate caso indossa sempre e solo abiti di designer che producono in modo etico, o costringe i grandi marchi ad adattarsi alle sue richieste green.

colin_livia_blog_vogue_b_426x639

Guardate che bella qui in Nina Skarra

Il documentario ci mostra come i marchi del fast fashion (nello specifico Zara, H&M, Topshop, Forever21 tra gli altri) producano a prezzi bassissimi in Bangladesh, causando uno sfruttamento dei lavoratori locali, sottopagati e obbligati a lavorare non stop.  I marchi producono qualcosa come 24 collezioni l anno, a prezzi sempre più competitivi, quindi ovviamente nei paesi del terzo mondo sono costretti a lavorare più velocemente e a prezzi sempre più bassi. Vi siete mai chiesti perché le magliette di H&M costino 4,99 euro? NON E’ NORMALE.

truecost

Stavo riflettendo sul film e sull’impatto che il fast fashion ha su di noi e una delle frasi che mi è rimasta più impressa è: “Ci fanno credere di essere ricchi perché possiamo permetterci di comprare magliette a 5 dollari”. Se ci pensate, è vero. Compriamo quello che vogliamo quando vogliamo (ciascuno di noi si può permettere un capo di Zara al mese) perché costa poco, e pensiamo pure che CI SERVA, quando ovviamente non è così. Non c’è bisogno di comprare un paio di stivaletti ogni inverno, non c’è bisogno di avere 25 mutande di tutti i tipi, non c’è bisogno di possedere 7 borse in pelle.

The-True-Cost_2015_05.0  true_cost_still  TrueCost_FilmStill_04

A parte le implicazioni umane di questi acquisti (cioè sapere che stiamo collaborando ad un sistema che sfrutta persone come noi e le costringe a vite durissime), c’è anche un risvolto pratico, di cui vi parlavo nel mio precedente post: questi vestiti fanno schifo.
Durante l anno tengo una lista di quello che compro con i relativi prezzi e a fine anno tiro le somme: ho notato che i vestiti  delle catene sono quelli che si sono rovinati prima, quelli che spesso ho buttato, quelli che non metto mai quando ho delle occasioni importanti, perché effettivamente mi sembrano cheap e non fanno bella figura.
Quindi mi chiedo: ha davvero senso che io continui a comprare da Zara, H&M e affini? Contribuisco a mandare avanti un sistema moda che mi disgusta e in più accumulo cose BRUTTE CHE NON MI SERVONO DAVVERO.

true1

TheTrueCost_FilmStill_03

Consumiamo più del 400% rispetto a 20 anni fa e lo smaltimento di questi vestiti costa caro anche in termini ambientali. L’industria della moda è la seconda più inquinante del pianeta, preceduta solamente dal petrolio. Come vi dicevo in questo post molte aziende si stanno impegnando nel riciclo e nel recupero di materiali per produrre i vestiti che vendono ma bisogna ancora lavorare molto su questo punto. Anche noi possiamo fare la nostra, donando ad associazioni riconosciute (attenzione ai cassonetti gialli, se non c’è scritto a chi vanno destinati gli abiti non fidatevi) e non buttando mai via i tessuti, anche se sono rotti (potete portare abiti anche strappati negli store H&M, li raccolgono).

f100063a71c7aa6c7bd28609048c6ea3 true-cost-memes1

Molti mi dicono: ma se non vado nelle catene non so dove comprare.
Vi faccio un esempio per dirvi che non è vero: avevo un matrimonio il 10 di Ottobre e all ultimo momento non sapevo cosa mettere (mi ero fatta fare un abito seguendo i vostri suggerimenti sotto questo post ma è venuta fuori una schifezza). Automaticamente sono andata sul sito di Zara, dove ho subito trovato due abiti che potevano fare al caso mio. Non volevo però comprarli da Zara, per i motivi che vi ho illustrato qui sopra (oltre al fatto che comprando qualcosa su Zara si rischia sempre che qualcuno sia vestito come noi).
Ho optato per una gonna vintage di Issey Miyake che ho trovato su Ebay (a poco più di 100 euro) e un top in seta che mi sono fatta fare (80 euro tra stoffa e fattura). La borsa era vintage. Non c’è bisogno di comprare nelle catene: vintage, negozi dell usato e app come Depop soddisfano pienamente i miei bisogni. In più metto cose che pochi hanno e che ho pagato il giusto.

Dal canto mio, mi impegnerò a non comprare cose inutili, riciclare, donare e rivendere il più possibile e soprattutto limitare gli acquisti nelle catene. Se avete domande, suggerimenti e consigli sono sempre bene accetti

Taggato in: , , , , ,

35 Commenti

MOSTRA I COMMENTI
  1. martina

    30/04/2017 alle 10:07 PM

    Ciao Giulia!
    Arrivo in ritardo di ben due anni, ma come si dice “old but gold”! Grazie al tuo articolo, a una chiaccherata con un’amica e a un’articolo su Goia (che dire? una congiunzione astrale!) ho finalmente deciso di vedere questo documentario. Sarebbe molto utile una lista di ditte che sono eticamente consapevoli, una sorta di app come quelle per il bio che ti dicono questo si questo no: sai se in questi due anni sono state create? io ho provato a cercare ma senza risultati.

    ps: ho fatto un corso di cucito e dopo 2 lezioni ho deciso che qualsiasi cifra una sarta mi chieda è dignitosa: non ho mai fatto una fatica bestia come a tagliare, cucire e rifinire (nonostante pensassi che fosse la cosa più bella del mondo!)

    Rispondi
    • rockandfiocc

      02/05/2017 alle 5:21 PM

      figurati! la mia amica erica di blueisinfashionthisyear.com ha scritto svariati articoli con liste di marchi etici, io non mi sono ancora messa all’opera purtroppo!
      eh si, anche io cucio e so di cosa parli!

      Rispondi
  2. Alessandra

    26/01/2016 alle 8:17 PM

    Ciao Giulia, complimenti per l’articolo. Condivido molte cose di quelle che hai scritto, però vorrei sottoporti un’altra questione. Io acquisto indifferentemente sia nelle catene low cost, sia in negozi per così dire di qualità, in quanto per fortuna ogni tanto posso togliermi alcuni sfizi. Ebbene anche questi marchi prestigiosi usano gli stessi materiali identici di Zara e HM, potrei dire che per qualche pezzo la manifattura è migliore, ma non vale per tutti gli abiti. Inoltre hai parlato del fatto che gli abiti di Zara durano poco ma purtroppo non sono d’accordo e ti faccio anche un esempio: ho comprato un cappotto di Zara che ha 3 anni ed è intatto, mentre un giubbotto di pelle vera di Patrizia Pepe dopo qualche anno si è scolorito in alcuni punti( e ovviamente pagato 6 volte in più del cappotto di Zara). Di conseguenza all’atto di ricomprare la giacca di pelle non sono certo tornata da Patrizia Pepe ma ho pensato: se deve durare così poco almeno spendo 100€( da Mango) e non 600€, così appena si rovina la butto senza tanti complimenti.In conclusione:non sempre le catene low cost sono sinonimo di prodotti scadenti, né i negozi di qualità ci assicurano roba migliore, semplicemente bisogna saper scegliere e non comprare tutto quello che capita a tiro solo perché il prezzo è invitante. Purtroppo penso che la qualità si trovi soltanto in marchi di lusso. E forse nemmeno

    Rispondi
    • rockandfiocc

      27/01/2016 alle 2:19 PM

      Hai ragionissima, senza dubbio ci sono capi low cost molto validi, io stessa ne ho alcuni da anni! Però quello che metto in discussione è il modo in cui vengono prodotti, che non mi piace per nulla

      Rispondi
  3. giulia

    26/10/2015 alle 12:37 PM

    Le condizioni in cui lavorano, tutto il contenuto del film è veritiero ed il lavoro lodevole. MA
    Come puoi dire che ti è bastato spendere 180 per il tuo outfit da matrimonio?
    Giulia ti seguo, ti stimo, mi piace leggere quello che scrivi, ma è l’ennesima volta che esponi il tuo pensiero sul non comprare roba “scrausa” da zara etc e di risparmiare nel tempo e comprare cose più costose di alta qualità.
    Non è così che funzionano i consumi nella realtà per i comuni mortali.
    La maggior parte delle persone non si compra vestiti una volta al mese da zara, la maggior parte mette da parte i soldi a luglio e gennaio per comprare durante i saldi in questi negozi.
    Se posso avere 5 bluse da poter cambiare per lavoro ogni giorno lavorativo, non vado a comprarne una da 100 euro per cui devo mettermi la sera prima a lavarla e sperare che si asciughi.
    Ma soprattutto, questo è il mio pensiero, quanto trovi etico che un vestito per coprire la tua pelle, il tuo corpo o i tuoi piedi debba costare così tanto ? non è normale che esistano vestiti da mille euro o più( maggiormente più). Non è normale. Questo è il vero consumismo, persone che non posso permettersi un marchio e mettono da parte i soldi per poter avere quella it bag da sfoggiare nell’occasione giusta. Non chi compra 5 magliette da hm a 5 euro e pensa di essere ricco, perchè non pensa di essere ricco, semplicemente pensa di avere 5 cambi diversi ad un minor prezzo.
    Sono la prima, come te ad amare la moda e l’alta moda e va bene così, siamo questo, accettiamo di esserlo, ma accettare se stessi non significa giudicare gli altri.
    Io non mi permetterei di pensare che la maggior parte delle persone può permettersi ad ogni matrimonio/occasione una mise da 200 euro.
    Piuttosto visto che tu sei un’esperta del vintage dovresti promuovere mercatini vintage, eventi di piccoli imprenditoria artigianale o promuovere quello che hai promosso, ma non dare per scontato che per tutti sia accessibile “con così tanto risparmio” un outfit da 200.
    Non vuole esser un attacco a te, veramente. E’ solo che da molto volevo scrivertelo vista la tua politica anti-zara xD
    Ps adoro i tuoi general mix!

    Rispondi
    • rockandfiocc

      26/10/2015 alle 2:14 PM

      Ciao Giulia, grazie per il commento (e per il complimento) . Quello che volevo dire era che ho speso 180 euro, è vero, ma la gonna è vintage e la blusa è fatta su misura, utilizzo entrambe tantissimo e non le ho comprate per il matrimonio, quindi la mia era un’incitazione al riciclo e al pensare bene cosa si ha nell’armadio, perché a volte non c’è motivo di comprare nuovi vestiti per occasioni specifiche.
      Io penso che la filosofia del comprare tanti vestiti per avere tanti outfit è un po’ limitante, perché quelle cose si rovinano prima, quindi ci si ritrova con tanti outfit brutti e dal ciclo di vita breve. Nessuno ha detto che bisogna comprare vestiti da 1000 euro, ANZI, ci sono delle vie di mezzo per evitare però di andare sempre nelle stesse catene.
      Secondo me il consumismo vero è comprare nelle catene, perché chi risparmia per una cosa compra poco e pensa meglio, quindi non lo fa tanto per fare ma perché ne ha veramente bisogno o vuole davvero un capo.
      Non giudico nessuno, dico solo che io voglio cambiare le mie abitudini di acquisto, poi ognuno è libero di fare come vuole. Quando ero solo una studentessa e non potevo permettermi un outfit da 200 euro compravo solo al seconda mano e per anni i miei outfit non superavano i 10 euro (scarpe comprese, se non ci credi leggi i vecchi post, mettevo solo quelle cose quando abitavo a Parma)!

      Rispondi
  4. Chiara

    21/10/2015 alle 6:18 PM

    Anch’io sono rimasta molto colpita dalla stessa frase guardando “The true cost”, perchè è verissimo che gli oggetti di cui non abbiamo bisogno (ad esempio le continue “nuove collezioni” delle grandi catene) hanno raggiunto prezzi stracciati e possiamo comprarne in quantità mai viste, mentre le cose di cui abbiamo veramente bisogno (casa, istruzione, sanità ecc..) sono diventate irraggiungibili per moltissime persone. E’ come se la possibilità di comprare una t-shirt a 4,99 euro fosse diventata una sorta di “premio di consolazione”.
    Io ho lavorato per anni in una di queste grandi catene e purtroppo gli sprechi sono ancora peggiori di quanto si possa pensare da cliente.
    Non so se ne hai già sentito parlare ma ti consiglio due ottimi libro sull’argomento “To die for” di Lucy Siegle (la giornalista del Guardian che si vede anche nel documentario) e “Clothing Poverty” di Andrew Brooks. Quest’ultimo parla in particolare della fine che fanno i vestiti che vengono donati in beneficenza e parla anche delle campagne di riciclo di H&M e altri grandi catene, di come siano in fin dei conti sopratutto delle campagne di marketing per dare al brand un immagine “green” quando in realtà il problema stesso dei vestiti che finiscono in discarica è creato dalle aziende come H&M e dal loro modello di produzione.
    Ok, fine del poema 🙂

    Rispondi
    • rockandfiocc

      21/10/2015 alle 10:28 PM

      Ciao Chiara, grazie mille per i suggerimenti, ho sentito parlare solo del primo libro, li metto subito in wishlist amazon!

      Rispondi
    • Laura

      14/03/2017 alle 8:41 PM

      Ciao! non so se riceverai mai la notifica di questo messaggio.
      Sai per caso i titoli in italiano di questi libri?
      Mi piacerebbe regalarli a chi purtroppo non sa bene l’inglese e potrebbe risultare difficile capire un intero libro 🙂
      Grazie mille!

      Rispondi
  5. M

    21/10/2015 alle 5:12 PM

    iniziamo a sensibilizzare anche i piccoli! ad esempio a Torino sabato c’è questo laboratorio in cui i bimbi imparano di cosa sono fatti i nostri vestiti: http://www.circololettori.it/di-cosa-sono-fatti-i-nostri-vestiti/ Lo tiene mia madre, che ha avuto per anni un negozio di abbigliamento per bambini.

    Rispondi
  6. ROBERTA

    20/10/2015 alle 6:36 PM

    Ciao, visto adesso dopo averti sentito parlare su snapchat e dopo aver letto il post. Finchè non vedi certe cose le puoi solo immaginare ma la realtà fa sempre un pò più impressione dell’immaginazione. Ho iniziato uno stile di vita meno consumistico, in attesa di legere il libro della Kondo, ho avviato il mio declattering. Compro meno vestiti da h&m e zara ( anzi zero) e meno ( anzi zero) smalti da kiko, ho più soldi per libri e viaggi.
    Ma vivo in una regione dove i seconda mano non esistono, comprare vintage e usato mi piacerebbe moltissimo ma online è un pò più complicato perchè non capisci bene lo stato effettivo dei capi. Rubo dall’armadio di nonna novantenne giacche di 40 anni fa in ottimo stato e di ottima fattura, stessa cosa per borsine degli anni 50/60. Cerco di usare le cose che ho nell’armadio magari tentando dei mix creativi, utto pur di non comprare. Mi riesce facile perchè nel mio armadio ci saranno circa 20 paia di jeans e almeno 9 paia di pantaloni invernali accumulati negli anni di shopping stupido perchè ” da zara ci sono gli sconti” o ” alla benetton c’è l’80% (e me ne vergogno moltissimo).
    Detto ciò hai dei brand da consigliare che seguano una linea di produzione più etica, meno nociva a persone, lavoratori, ambiente?
    Ti seguo sempre,ovunque,con piacere e mi piace moltissimo la tua evoluzione personale e la seguo sui tuoi”social”.
    E poi, dimenticavo ma ce l ‘ho in mente da giorni e volevo scrivertelo: è vero che bisognerebbe passare il proprio tempo a fare ciò che ci piace, seguire le nostre passioni perchè è quello che siamo veramente. Non siamo il lavoro che facciamo, siamo le cose che ci piacciono.

    Rispondi
    • rockandfiocc

      20/10/2015 alle 11:05 PM

      che brava che sei, complimenti!
      Purtroppo non conosco nessun brand di questo tipo, forse perché sono tutti abbastanza costosi e quindi non me ne sono mai interessata (shame on me). Uno di questi è THEREFORMATION, che fa capi secondo me bellissimi.
      Grazie mille per i complimenti 🙂
      vero? Purtroppo è così!

      Rispondi
  7. Sara

    20/10/2015 alle 12:02 PM

    Quello che nessuno mai dice, però, è cosa accadrebbe a questi lavoratori se non lavorassero per chi produce per le catene. Non penso che, smettendo di comprare nelle catene, migliorerebbero le loro condizioni di lavoro, perché la crescita della condizione della classe lavoratrice passa solo attraverso la crescita economica dei paesi in cui lavorano. Finché l’alternativa a lavorare in quelle condizioni è il nulla, le persone lavoreranno a quelle condizioni.
    E’ senza dubbio lodevole chiedere alle catene di verificare le condizioni di lavoro della manodopera, ma smettere di comprare nelle catene non mi sembra la soluzione.

    Rispondi
    • rockandfiocc

      20/10/2015 alle 11:07 PM

      è vero anche questo, semplicemente dovrebbero rallentare i ritmi e aumentare gli stipendi. I lavoratori si lamentano dei turni di lavoro e del poco danaro ricevuto. Se tutti smettessero di comprare nelle catene forse capirebbero che l’etica è più importante dei ricavi! Comunque sappiamo benissimo che non succederà mai, come la gente continuerà a mangiare junk food.

      Rispondi
      • Sara

        21/10/2015 alle 9:46 AM

        Io sono sempre molto combattuta quando sento queste cose, che pure è bene diffondere, perché certamente è fondamentale ridistribuire la ricchezza che si costruisce, ma se non c’è alcuna ricchezza, non ci sarà mai neppure nessuna ridistribuzione. Se, negli ultimi anni, si sono avuti degli scioperi in Cina, prontamente nascosti da quel governo, è solo perché lavorando in condizioni terribili i lavoratori si sono costruiti una forza, che sono destinati a perdere qualora la produzione rallenti. E’ davvero complesso affrontare un problema del genere.
        Inoltre, non tutti comprano nelle catene per avere dieci paia di jeans (cosa che è sicuramente deprecabile). Per la maggior parte della popolazione, perlomeno italiana, dove gli stipendi medi viaggiano suo 1200 euro, quelli sono i soli jeans accessibili. Una tshirt o un paio di jeans a 100 euro, a meno che non siano interamente cuciti a mano, sono comunque venduti a un prezzo ridicolmente alto.
        Comunque è un video molto interessante anche per le riflessioni che suscita e sono senza dubbio d’accordo con il meno, ma meglio, e soprattutto meno ma più etico.

        Rispondi
        • rockandfiocc

          21/10/2015 alle 10:26 PM

          hai senz’altro ragione, è un discorso più complesso. Non sono andata in profondità perché non ho le conoscenze sufficienti e perché volevo solo parlare del bisogno di consumismo imperante ma il tuo è un punto di vista giustissimo, grazie per averlo condiviso

          Rispondi
  8. chiara

    19/10/2015 alle 10:22 PM

    Ho visto anche io il documentario qualche giorno fa… drammatico.
    Sebbene già recentemente avessi cominciato a “regolarizzare” gli acquisti ( grazie anche al tuo post sull’armadio perfetto) ed evitare catene ed acquisti cheap, il discorso qui cambia totalmente. Cambia la prospettiva e il punto di vista, non si tratta più di gettare i miei soldi bensì di sfruttare vite umane, non rispettarle. si tratta di non avere scrupoli nei confronti dell’ambiente in cui viviamo. Qui si parla di umanità. E no, dall’alto della mia intelligenza non mi sono mai domandata se fosse normale pagare una t shirt 4.99.. ne ho afferrate tante, tantissime. e ne sono andata anche fiera… che amarezza.
    é utopico pensare che tutto possa cambiare a breve raggio, ma già impegnarsi personalmente farà la differenza! bisogna guardare questo documentario, anche se ” non sembra che abbia fatto la scoperta del secolo” perchè “occhio non vede…”. e se il cuore non duole, è grave.

    C.

    Rispondi
  9. Bettina

    19/10/2015 alle 7:44 PM

    Non posso essere più d’accordo.
    La parte che mi ha colpito di più del documentario è quando una signora indiana che smaltisce i nostri stracci lavorando in condizioni ai limiti si chiede perché non laviamo i vestiti invece di comprarne di nuovi … forse che da noi l’acqua costa di più di un abito nuovo? si domanda la signora dispiacendosi per noi …
    Si in questa parte del mondo consumiamo troppo e male senza pensare alle conseguenze dei nostri gesti e a come queste pesino sulle spalle non solo del pianeta, ma anche dei nostri simili … e tutto per cosa? Brutti vestiti, in brutti materiali e con brutti tagli … Umm, c’è qualcosa che non va 😉

    Rispondi
  10. Maryhidden

    19/10/2015 alle 6:36 PM

    Brava Giulia, bel post!
    Una spinta in più a riflettere sui nostri reali bisogni, che in realtà solo solo necessità illusorie create da un sistema votato al consumo.
    Anch’io da un po’ di tempo mi interrogo sull’eticità dei miei acquisti, ed ogni volta che sto’ per allungare le mani su un capo di una qualche catena low cost mi fermo a riflettere e valuto il rapporto costo/beneficio: come dici tu siccome ci sembra di risparmiare, in realtà acquistiamo merce di qualità scadente a più riprese e alla fine ci troviamo con della porcheria nell’armadio. Inoltre, cosa peggiore, abbiamo contribuito ad impoverire ancor di più una fetta di mondo.
    Dobbiamo renderci tutti un po’ più responsabili e attenti.
    Le alternative poi ci sono eccome: negozi vintage, mercatini, sarte… persino i vecchi vestiti che abbiamo nell’armadio (io di recente ho riscoperto a casa dei miei una fantastica gonna marrone in camoscio e un dolcevita color vinaccia attillato, ancora perfetto e 100% lana vergine!!! perfetto outfit sixties a costo zero)…
    Così poi se ci scappa qualcosa in negozio ci sentiamo meno in colpa! ; )

    Mary

    Rispondi
  11. Marti

    19/10/2015 alle 5:37 PM

    Per farmi davvero del bene ho deciso di girare i soldi spesi in vestiti, scarpe, borse, skin care in una psicoterapia analitica 🙂

    Rispondi
  12. raffaella magri

    19/10/2015 alle 4:19 PM

    Che bel post!
    Sullo stesso argomento mi é piaciuto anche il video su You Tube di Fashion Revolution, dal titolo eloquente: “The 2 Euro T-shirt. A social experiment”
    Ecco il link: https://www.youtube.com/watch?v=KfANs2y_frk

    Rispondi
  13. chiara

    19/10/2015 alle 4:16 PM

    Questo è il motivo per il quale cerco di evitare il più possibile le grandi catene e tendenzialmente guardo l’etichetta di composizione/fabbricazione.
    La mia forte paura però è che magari comprando magliette a prezzo più alto (mica posso vestirmi solo di magliette petit bateau) l’unica differenza sta nel prezzo e non nella fabbrica di provenienza…. anche perchè sappiamo benissimo che made in italy al di la della truffa di per se, non per forza indica garanzie di posti di lavoro “salubri” e diritti garantiti (cfr laboratori cinesi e varie…)

    Rispondi
    • rockandfiocc

      19/10/2015 alle 8:02 PM

      vero ma almeno sei sicura che gli altri brand non producono 24 collezioni l anno, almeno i ritmi sono più umani (spero)

      Rispondi
  14. Luci

    19/10/2015 alle 12:51 PM

    Ciao Giulia, complimenti per l’articolo molto interessante, ma perdonami se ne approfitto subito e ti chiedo un consiglio per chi, come la sottoscritta, non arriva (per 4 cm infami) neanche al 1,60 e per di più è magrolina. Trovare idee e consigli sui vari blog è quasi impossibile perchè sono tutti tenuti da ragazze gamba lunga o con un budget non indifferente, nei negozi (catene e non) è sempre tutto lungo/grande/largo!!! Qualsiasi capo dovrei riprenderlo da capo a piedi. Ogni tanto acquisto su Asos petite, ma non mi lascia mai pienamente soddisfatta. Per non toccare l’argomento scarpe numero 35 e piede sottile! Fare shopping si rivela sempre una tragedia!

    Rispondi
    • rockandfiocc

      19/10/2015 alle 8:03 PM

      grazie! Accidenti hai ragione, anche mia mamma era piccolina e non trovava mai scarpe (se non nei marchi di lusso) e abiti adatti… eh purtroppo hai il problema opposto al resto della popolazione, sei fortunata per una cosa però: ti entrano quei vestitini vintage minuscoli anni 60! 🙂

      Rispondi
  15. Bianca

    19/10/2015 alle 11:53 AM

    Ciao Giulia, grazie per aver condiviso questo documentario super interessante!
    Anche io dall’estate scorsa sto iniziando ad applicare il dictat del “qualità sopra la quantità” (con qualche eccezione per &OtherStories!) e ho detto addio allo shopping compulsivo da zara/asos/topshop.
    L’unico appunto che ti faccio, e non per fare la moralizzatrice spacca palle, è che bisogna tenere a mente che non tutti hanno 80 euro da spendere per un top di seta sartoriale per un’occasione speciale 🙂

    un saluto dall’Australia, ti seguo sempre anche da qui!

    Rispondi
    • rockandfiocc

      19/10/2015 alle 8:05 PM

      di niente 🙂
      eh si lo so, ma a mia discolpa dico che il top l avevo fatto fare e l ho già messo tantissime volte, va benissimo anche per la vita di tutti i giorni, quindi a ben pensarci è stata un’ottima spesa, al posto magari di due camicie di viscosa di Zara a 35 euro l’una, no?

      wow grazie! 🙂 è un piacere avere followers oltreoceano

      Rispondi
  16. Susanna

    19/10/2015 alle 9:46 AM

    Sono troppo d’accordo con te! anche io negli ultimi tempi ho cominciato a riflettere su tutta la robaccia che non metto più da un anno all’altro e maguardaunpò! il 90% delle cose sono zara/h&m. Ho iniziato a svuotare l’armadio vendendo ai negozi secondhand (riprendendo anche due lire che fa sempre piacere!) e regalando e mi sto impegnando a tenerlo con meno cose possibili e se devo comprare voglio che siano meno capi ma con più qualità e che non passino di moda velocemente. La notte cominciavo ad avere incubi su armadi che esplodevano e valigie che non si chiudevano…ho capito che era arrivato il momento! e cmq la sensazione di un armadio ordinato e di cui hai il pieno controllo è qualcosa di fantastico!!!

    Rispondi
  17. Giulia

    19/10/2015 alle 8:34 AM

    Premesso che non ho visto il documentario, non mi sembra che abbia fatto la scoperta del secolo. Penso che tutti sappiamo da dove vengono le magliette di h&m. Semplicemente ce ne freghiamo. In ogni caso, mi sembra più scandaloso che i grandi marchi della moda facciano produrre i loro prodotti di lusso dagli stessi Paesi, facendoli pagare 3000 volte tanto. Detto ciò, condivido pienamente il tuo messaggio. Anche io, crescendo, ho imparato a dare più importanza ai materiali, e a comprare vestiti dai tagli sempre più minimal, che non smetto di indossare dopo una stagione.

    Rispondi
    • rockandfiocc

      19/10/2015 alle 8:04 PM

      si ammetto che lo sapevo ma vederlo su pellicola ti assicuro è uno shock. Credevo di essere bene informata ma finché non vedi il film…

      Rispondi

Lascia un commento

Il tuo indirizzo email non sarà pubblicato.